
Sono giorni in cui vado in altalena tra la certezza e la confusione e non dovrei stupirmi perché tutto questo è una costante della mia vita. Quando mi sento confusa, anche senza indagare sui motivi, scrivo di cose confuse. Ieri, invece, ho vissuto un momento di certezza e ho scritto cose che padroneggio alla grande, come i luoghi raccontati da libri che adoro. Sono giorni che penso al fatto che, forse, il bello e il brutto di ogni esistenza si possano riassumere in un unico grande concetto che si porta dietro una domanda dalle risposte infinite. Il concetto è che tutto sia possibile. Ecco perché mi è tornato in mente il Gatto di Schrödinger.
Il famoso Gatto che mette in crisi il mondo
Questo è un bel video che spiega, in poco più di un minuto, la teoria del Gatto di Schrödinger in maniera chiara e concisa. La capisco anch’io che, di fisica, so poco o nulla. Diciamo così. Questa teoria è stata abilmente applicata alle relazioni umane da niente di meno che Sheldon Cooper, in uno episodio di The Big Bang Theory in cui Penny usciva per la prima volta con Leonard. La domanda che Penny si poneva era “andrà bene o male?“. La risposta di Sheldon è stata “non lo saprai mai finché non apri la scatola del gatto di Schrödinger “. La sua spiegazione della teoria del fisico tedesco applicata alla realtà complicata delle relazioni umane è perfetta e, almeno a mio parere, è vera. Come è vera un’altra cosa (e dico “cosa” perché non so trovare il termine giusto anche se trovare parole è, in fondo, il mio lavoro): mi piace considerare il fatto che ci sia un multiverso, più che un universo, a contenere tutti noi. Avete presente quando un concetto o un pensiero sembrano prendervi per mano? Ecco, io ho trovato il mio. E si chiama multiverso.
Sono un’abitante del multiverso

Il multiverso è, per definizione da vocabolario, un’ipotesi che ammette l’esistenza di universi coesistenti fuori dal nostro spazio tempo. Lo ammetto: l’ho copiata. Il multiverso è un qualcosa che racconta di dimensioni parallele, di cose che potrebbero essere possibili o no. Per quel che mi riguarda personalmente, se una cosa vive dentro la mia testa o esce dalle mie mani o labbra sotto forma di parola, essa esiste. Un po’ come se prendessi Cartesio e lo reimpastassi a modo mio come fosse pastafrolla. Sono state tante le volte che, nelle mia vita, mi sono detta “questo non è il mio mondo” oppure “è solo il momento sbagliato“. Ho 40 anni e non mi sono ancora piegata al fatto di adattarmi alla vita che mi circonda invece di continuare a plasmare la mia e questo perché credo fermamente nel multiverso. Fossimo nel XIV Secolo sarei messa al rogo per queste frasi ma chi se ne frega. È il mio multiverso e le regole le faccio io. Non sono in grado di ragionare pensando a mondi quantici o cose simili. Mi perdo solo nello scrivere la parola quantico, figuriamoci a darne una definizione corretta. Ammetto, però, di esserne affascinata e quindi mi permetto di giocare, a costo di sembrare blasfema nei confronti della fisica. Voglio raccontarvi cosa c’è nel mio multiverso, chi sono io nelle varie scatole della mia personale teoria di Schrödinger perché, finché avrò aria nei polmoni e mani per scrivere (ecco uno dei tasti dolenti), tutto può accadere oppure no. Ma io voglio pensare che accada. Ecco il mio multiverso, raccontanto secondo alcuni dimensioni parallele che lo compongono
Dimensione nr.1: quella in cui vivo scrivendo romanzi

La dimensione che mi è più cara è quella in cui io vivo in un posto che non ho ancora trovato (per forza, è in un’altra dimensione), dove ci sono sia montagne che mare. Dove il vento è tanto e io vivo in una casa a un solo piano, con tanto legno e le pareti chiare. Ci sono mille librerie a nascondere i muri, c’è un divano azzurro carta da zucchero, una coperta bianca di quelle fatte con i ferri grossi e lana intrecciata. Poi c’è un tavolo di legno grosso, di quelli fatti artigianalmente dove si notano ancora le venature della pianta. Su quel tavolo c’è una lampada Churchill quasi a fare da soprammobile e ricordarmi che le cose belle esistono. Ce n’è un’altra, con la luce led, più moderna. La luce è chiara, fredda ma perfetta per scrivere. Davanti a me una vetrata che mi mostra il mare, una vetrata che sembra portarmi nel mare. E poi ci sono io, con lo sguardo fisso su un monitor, dove le parole scorrono come se fossero un fiume in piena. Da uno stereo esce Land of Gold di Anoushka Shankar. Io rispondo al telefono: è il mio editore: “Sì, consegno tra una settimana. Tutto nei tempi“, dico io sorridendo con la soddisfazione negli occhi. Poi mi volto guardando i libri già pubblicati e li osservo come fossero figli. Sono figli.
Dimensione nr.2: quella in cui insegno Storia
Lei è Hannah Arendt per me è il bene assoluto. Filosofa allieva (e amante) di Heidegger, dalla sua mente è uscito il non plus ultra degli studi sul totalitarismo e sulle condizioni storico-politico-sociali del ‘900. Lei e Eric Hobsbawm sono per me l’ABC della compresione dei nostri giorni. Hannah Arendt, giusto per intenderci, fu colei che segui in Israele il processo Eichmann, dopo il quale pubblicò il libro che in italiano è conosciuto come La Banalità del Male. Quando si cresce e si studia diamo accoglienza su quel ponte tra mente e cuore a molte persone: io ho accolto lei, in tutto e per tutto. Nella mia dimensione nr.2, io ho ripreso le sue teorie e le ho portate nel nuovo millennio, aggiudicandomi così la possibilità di insegnare in grandi Università, trasmettendo ai miei studenti l’amore che Hannah aveva per il corso della storia. E io pure. Mi ci vedo in uno studio dell’Università di Heidelberg, intenta a chierdermi se il mondo mai guarirà.
Multiverso nr.3: io e il Capitano Cook
Nella mia dimensione numero 3, ci siamo io e c’è il Capitano Cook. Siamo nel 1766 e sono a bordo dell’Endeavour. Questa è pura utopia: non può accadere ma non si sa mai che sia accaduto. Una donna non sarebbe mai stata ammessa, in quegli anni, su una nave che aveva in mente un viaggio di andata, senza la certezza di quello di ritorno. In ogni caso, io sarei la moglie di Cook (Elisabeth Batts scansati!) e con lui sarei arrivata in Nuova Zelanda. Sarei stata la prima a scendere dalla nave e mettere i piedi sulla terra dei Maori.
Dimensione nr.4: io, Seattle e Eddie Vedder

Seattle è il mio sogno dal 1993, da quando una certa musica mi ha preso il cuore. Nel 2000, poi, ho letto No Logo di Naomi Klein e quel libro ha fatto il resto. Portland, un paio d’anni fa, ha rincarato la dose e ho capito che io amo così tanto una città che non ho ancora visto perché, in fondo, ci vivo già. Nella mia personale dimensione in cui vivo a Seattle, scrivo come se non ci fosse un domani (e se fosse quello il posto del multiverso nr.1) e dove, per un motivo che non mi è ancora chiaro, frequento Eddie Vedder e la sua famiglia come se fosse quella di un cugino ritrovato dopo tanto tempo. Per farmi piangere e sorridere allo stesso tempo, Eddie mi canta Sirens ogni volta che ce n’è l’occasione, mi racconta del suo amico Chris Cornell e mi rende una persona vulnerabile, capace di provare dolore ma, allo stesso tempo, spalancare il cuore al mondo. Quando canta “I could take your hand, and feel your breath For feel that someday this will be over...” si ferma e mi dice di essersi ispirato a quella cosa che gli raccontai qualche anno prima. Quella canzone parla, anche, di me. Che cosa successe anni prima? Non lo so, fa parte di un’altra dimensione della quale conservo solo un ricordo. In quel ricordo c’è la possibilità che sia successo, che succeda, che succederà.
Un suono, una notifica: “… sei il mio sovversivo, sovversivo amore”. Ecco il messaggio arrivato da un altro universo, ops multiverso. Da un altro tempo, un altro spazio ma dalla stessa essenza umana.
Ecco come inizia il libro che la me della dimensione nr.1 vuole scrivere. Così. Del resto un libro è un parto di una mente che ha bisogno anche di decluttering. Ci sono troppe storie nate, plasmate, vissute o inventate in me.
[Fisici all’ascolto, chiedo venia: ho preso la teoria del Gatto di Schrödinger e l’ho fatta mia. Forse l’ho fatta a pezzi ma avevo bisogno di trovare qualcosa che rendesse lecito l’eterno vagare dei miei pensieri. Domani si torna a parlare di viaggi, torno nel mio. Lo giuro. Vogliatemi bene così.]
La dimensione numero 1 mi ha fatta sognare tantissimo! Bellissimo articolo come sempre Giovy.
Ti ringrazio Denise!
La realtà delle relazioni umane è sempre complicata! Gran bello articolo, che spazia dalla filosofia alla scienza. E’ sempre bello leggerti.
Grazie mille! 🙂
Però poi Penny dice anche che se il gatto è morto basterà sentire la puzza che esce dalla scatola 😀 a parte gli scherzi, che bello questo tuo viaggiare con la fantasia. Mi piace pensarti a Seattle in compagnia di Eddie Vedder.
Verissimo: infatti per molte cose mi vedo proprio in lei. Anche a me piace pensarmi in compagnia di Eddie.
Adoro questo tuo concetto di multiverso e condivido il primo in maniera assoluta 🙂
Grazie Sara!
Fichissimo questo articolo più introspettivo Giovy. Mi piace tanto come scrivi!
Grazie Giulia!
ho letto il tuo articolo e mi sono immedesimata in ogni singola parola e in ogni singola sezione in cui descrivi l’altra te che spettacolo mi è sembrato di vivere ogni cosa. Mi hai fatto venire la voglia di scrivere un libro.
Mi fa molto piacere Silvia. Davvero molto.
Il tuo modo di scrivere mi emoziona sempre. Difficile trovare le parole per commentare. Sei semplicemente bravissima.
Grazie Raffi! La tua stima mi fa molto bene.
Ma che articolo stupendo. Ti adoro quando scrivi di emozioni. E poi chissà che non sibpossa viverle davvero tutte )o quasi) queste dimensioni! Io attendo il libro!
E io mi impegnerò a scriverlo! Buon ritorno da Belfast, nel frattempo.