
Questo è uno di quei post che avrei non voler mai scritto ma poi ci si sono messi di mezzo gli eventi e i fatti di cronaca. Una decina di giorni fa leggevo un articolo su Vanity Fair scritto da Tim Berners-Lee, l’inventore del web. Il Dottor Berners-Lee si diceva – in poche parole – deluso dalla piega presa da tutto ciò che è legato al web, dall’evoluzione della creatura. Un po’ come quando metti al mondo un figlio, ti dicono che è pieno di potenzialità e poi, come per magia, la strada che prende non è quella sperata. Nel caso di internet (che non è la stessa cosa del web, ma per oggi facciamoli diventare sinonimi), la “magia” in questione si chiama stupidità umana. E, come spesso accade quando un mezzo potente e democratico viene in contatto con tutti, si mette lì una mano e la folla si prende il braccio. Facendolo anche a pezzi.
Il peggio del web

Internet si è rotto. Non credo irrimediabilmente ma si è fatto un gran male. Il web è sempre stato importante per me. Anni fa, quando ancora non si parlava di community (siamo tipo nel 2004) gestivo, non da sola, una community fatta di migliaia di persone sempre pronte a trovarsi alla sinistra del palco. Si trattava di un sito con annesso forum che, al tempo, era un Facebook ante-litteram. Quella community ha formato famiglie, distrutto famiglie, dato il via a carriere o fatto a pezzi altre cose. Quella community agiva come la vita: era importante ma lasciava spazio a molte altre cose. Ho aperto il mio primo blog nel 2005 e, da quel momento, ho iniziato a leggere in rete le parole di molti, parole che sapevano di grande voglia di raccontarsi, immensa creatività che traduceva in frasi una personalità, la propria voglia di vita, di amore, di sesso, di qualsiasi cosa fosse il contatto. Erano le parole quelle a essere in primo piano. Ci si celava spesso dietro un avatar che aveva qualcosa a che fare con la nostra vita ma che, in fondo, era il nostro nascondiglio perfetto. Ora ci si mette la faccia e la cosa mi rende felice. Ciò che non mi rende felice sono tutti quei sassi lanciati a caso sullo specchio di Internet, vanificandone le possibilità democratiche che dava a tutti.
Cosa fa male al web?

Cosa fa male al web, ai social, a internet e tutto ciò che rappresenta? Quelle realtà sono la comunicazione resa democratica: non devo aspettare un editore per farvi leggere i miei pensieri e non devo scrivere una lettera a un giornale per farvi vedere che un luogo nel mondo è bellissimo e va visitato. Posso recuperare amicizie che credevo perdute, farvi vedere in diretta un tramonto in diretta mentre sono chissà dove. Posso lavorare da ovunque e ho potuto modulare la mia professionalità facendola crescere a pane, salame e web, conquistando un’indipendenza lavorativa che solo mi sognavo quando avevo 20 anni. Eppure tutto questo non basta affinché il web resti saldo, funzionante e aiuti il mondo con positività. Perché? Perché gran parte dell’umanità – e per fortuna non proprio tutta – fa schifo. Non vede l’ora di ostentare, creare fake news, puntare il dito con rivalsa verso tutto. “Niente critiche, per favore“, quante volte l’avete letto? È colui che lancia il sasso che nasconde la mano. Ciò che dona possibilità a tutti, senza controllo, è ciò che genera mostri. E non di certo i mostri della mente di Nietzsche. Quali sono, quindi, i mostri che continuano a prendere a sassate il web?
Le citazioni fatte a caso
Ho visto questa immagine sul profilo di un mio contatto Facebook, che l’aveva proprio pubblicata per l’ironia che mostra, anche senza troppe tende a celarne il senso. Mai, come negli ultimi 4 o 5 anni, ho visto in giro tante citazioni attribuite a chiunque. Verificare è un verbo transitivo che indica, secondo la Treccani, “… Accertare mediante prove e controlli l’esistenza, la qualità, la regolarità o conformità, l’esattezza o la rispondenza a verità di oggetti, fatti, situazioni, fenomeni, ipotesi“. Verificare è una delle azioni più neutralizzate dalla potenza – in negativo – del web. Nessuno più controlla se ciò che si sta pubblicando sia corretto. A prescindere da cosa sia. E qui passiamo al punto successivo.
Le fake news

Ma quanto ci godono i creatori di fake news nello sfruttare fino al midollo la stupidità umana, la nostra pigrizia nell’alzare le dita sulla tastiera per cercare “titolo della news + bufala” su Google? Ma quanto ci adoperiamo per renderli felici, colmi dei loro guadagni fatti da annunci pubblicitari messi a dovere e tronfi e gonfi di tutte le visualizzazioni che generano? Domanda: ma il cervello è collegato a tutto il resto? Il mio sì. Sicuramente sì. Le fake news sono uno dei sassi più grossi lanciati contro il web. Per sconfiggerle basterebbe ripassare un po’ di storia antica o medievale per ricordarsi della tattica dell’assedio: la città da conquistare si auto-reclude dentro le proprie mura, l’esercito nemico si piazza lungo le mura e sulle porte e aspetta. Prima poi finiranno viveri e acqua e dovranno uscire. In quel momento ci si prenderà la città o essa soccomberà nella sua reclusione e la si prenderà quando tutti saranno morti. Storia, gente, studiate storia e applicate il tutto al web. Lasciamoli morire di fame quei creatori di fake news.
I surfisti della cronaca

No, non ho nulla contro chi fa surf. Ci mancherebbe! I surfisti della cronaca sono quelli che “sono sempre sul pezzo“. Essere in linea col momento che si sta vivendo è fondamentale, sia per un blog che per la comunicazione su social. Con la dovuta educazione e il doveroso rispetto, ovviamente. Un conto è tener conto dei tempi che si vivono, un altro è cavalcare l’onda delle notizie di cronaca del momento per pubblicare post che hanno nel titolo o nella url il nome di una città colpita da una bomba o quella in cui c’è appena stato un incidente enorme. Non si fa. E se lo fai sei un farabutto. Punto. E mi fai male, perché io ci tengo a comunciare bene per me e per i miei clienti e tu stai gettando merda sopra una delle invenzioni più rivoluzionarie di sempre. Come dicono in molti “lo stai facendo male“.
I’m not a number, I’m a free man
Per capire questa citazione occorre appartenere a una di queste due categorie: nati fino alla fine degli Anni ’60 oppure appassionati di telefilm britannici. Categoria di riserva: fan degli Iron Maiden. Questa citazione arriva da The Prisoner, un telefilm dove il protagonista si rifiutava di essere chiamato e identificato con il proprio numero. Che per la cronaca era il 6. Chi lavora sul web o chi vorrebbe farlo sa che i numeri contano. E non sono qui a dire di no: certi numeri contano più di altri e vanno sempre approfonditi e argomentati. “Faccio tot visite” è sterile come “oggi c’è il sole ma domani piove“. Non è altro che un’informazione neutra che non dice chi siamo. Lo stesso vale, se non peggio, per “ho milioni di follower“. Vuoi lavorare sul web? Chiediti, piuttosto, quanto gliene frega di te ai tuoi follower. Se ti compri 9000 like da un bot, quanto vuoi che il Robot125478 ne sappia di te e quanto vuoi che gli interessi che tu vai in un posto figo e fai il bagno al tramonto? Cartesio diceva “Cogito ergo sum” e non “Digito ergo sum“. Medita un po’. Giusto quel po’ che permetta agli ingranaggi del tuo cervello di girare un po’ e non bloccarsi in maniera irreversibile. Non c’è olio che tenga in questo caso.
Un campo fertile: ecco che cos’è il web

Se mai mi fossi sposata, avrei portato nella sala della cerimonia del grano. Perché il grano mi sa di inizio di qualcosa di splendido. E l’avrei voluto anche per il mio bouquet. Divagazioni a parte, web e grano per me sono due concetti che ben possono stare assieme. Un campo di grano è l’immagine che la mia mente crea quando penso alle possibilità che il web mi ha dato, sia personali che professionali. Sta a me mettermi lì a curarlo, cercare di estirpare le erbacce cattive e rendere possibile la crescita delle spighe fino al raccolto. Sta a me raccogliere nel modo giusto e far sì che molti, in primis io, possa beneficiare di quel raccolto. Tutto ciò che rovina il web deve stare fuori dal mio campo coltivato. Ma sta a me lasciare fuori tutto. Una delle prime regole che si insegnano, quando si parla di social media managemente, è don’t feed the trolls. Lasciamoli chiusi all’interno delle loro mura: che si scannino da soli. Un tempo qualcuno disse che non è l’odio la fine di un amore ma l’indifferenza. Iniziamo a ripraticare l’indifferenza verso ciò che rovina una cosa così bella. Finiamola di sentirci tuttologi: siamo allenatori quando c’è il campionato, ingegneri quando succede qualcosa di strutturale, dottori quando si parla di vaccini. Solo perché abbiamo un profilo su qualche social non siamo di certo comuncatori. È triste, ma è vero. Fatevene o facciamocene una ragione.
Ecco, questa Avvelenata in stile Giovy finisce qui. Domani si torna a parlare di viaggi. E prima o poi racconterò anche il bello del web perché, nella mia testa in bilico tra distopia e utopia, continua a vincere sul male. Davvero.
Una riflessione molto bella.. mi piace quando hai parlato di quella frase “i’m not a Number..” della sua storia e di come i numeri decontestualizzati siano “sterili”.. aspetto anche l’articolo sulla parte positiva come prometti!
Quella frase racconta una grande verità.
Si parlava più o meno di questo oggi in ufficio: la gente & l’internet. Il male del web si avverte già solo da semplici utenti, ma ancor di più, a mio avviso, lo avvertiamo noi che ci lavoriamo dentro e che spendiamo le nostre energie per creare qualcosa di buono. Le persone che si aggirano fra i social sono spesso agghiaccianti (a volte mi chiedo: ma una persona così esiste davvero, nella vita reale?), dicono cose da mostri anaffettivi e completamente privi di compassione e comprensione, riportano notizie, nozioni, slogan a vanvera senza capirne il senso e senza capirne le conseguenze e, cosa più grave di tutte, non conoscono i propri limiti, non sono umili, credono di sapere tutto. Nonostante questo ho speranza 🙂 anche se cinque giorni su sette mi ritrovo a imprecare contro qualcuno che ha detto una castroneria in giro per l’internet gli altri due giorni, in cui creo cose belle, vengo a contatto con persone belle, vedo nascere connessioni, reti, gruppi, mi bastano per pensare che noi non-esaltati abbiamo tutto il diritto di rivendicare il nostro spazio e di rifocillare questo povero web di idee nuove e non tossiche. ps. bellissimo post e bellissime riflessioni 🙂
Anche in me la speranza non molla. E continuo a vedere le cose belle.
Non avevo dubbi che saresti riuscita ad analizzare in maniera così chiara e dettagliata la situazione che la rete in questi ultimi anni ci ha mostrato e non posso che concordare con te nell’esprimere tanta rabbia.
Ogni tanto occorre incanalare la rabbia in qualcosa che possa essere condiviso.
Ho capito subito che questo post avrebbe in parte, se non in toto, rappresentato in maniera perfetta anche il mio pensiero. Quando ho cominciato a voler far parte del mondo del web ero una semplice spettatrice affacciata alla finestra che si è fatta soggiogare e incantare dallo spazio infinito internettiano. Bellissimo ma anche tanto velenoso come dici tu.
Grazie per il tuo commento Maria.
Una agguerritissima Giovy, direi! 😉
Molto. Ma lo sarò anche nel raccontare il bello.
Una delle cose che non mi piace del web è che uno strumento che nella sua filosofia avrebbe dovuto aiutare le democrazie, in realtà rischia di metterle in pericolo. E questo per colpa dell’avidità di certe persone che ne approfittano con maestria e per la pigrizia o rassegnazione di altre che non fanno nulla per comprenderlo. Purtroppo non so se abbiamo armi per combattere questi rischi. Ma spero che qualcuno con più competenze delle mie ed etica lo stia facendo.
Io, da parte mia, ho imparato a verificare e a non entrare nella spirale dei commenti politici a senso unico. Sono innamorata del web perché ha cambiato in meglio la mia vita (come quella di tutti, del resto). Aspetto di leggere il tuo post sulle cose belle.
Grazie mille per il tuo commento Raffi. Anche nella mia mente Internet avrebbe dovuto diffondere, in primis, la democrazia e portare a galla il sommerso che appesantiva il mondo. In parte l’ha fatto ma quanto altro ci ha messo davanti agli occhi?
Belli questi post sai che mi piacciono molto? Bello il grano come simbolo, è anche molto cattolico. Io quando guardo i miei numeri penso che effettivamente se sono riuscita ad avere tante visite e perché i miei post hanno interessato un certo numero di persone; io non guardo mai i numeri sui social non mi interessa avere follower ; mi piace e mi interessa che dove linko il blog ci siano delle persone disposte ad entrare e leggere quello che scrivo ( roba che
Molto spesso viene anche apprezzata) quindi in un certo senso le visite a me parlano di curiosità trasmessa ad un certo numero di persone . Come ben sai però io non lavoro con il blog pura passione !
Curiosità trasmessa… bella espressione: quando trasmettiamo qualcosa di positivo (e per me la curiosità lo è) va tutto bene.
Capisco lo sfogo, per me il web è un bellissimo mondo dove rifugiarmi ma è anche un luogo reso crudele dalla stupidità e cattiveria umana. Le fake news sono un grande problema, influenzano elezioni e salute delle persone, come nel caso dei vaccini. Speriamo bene.
Oggi ho pubblicato “il bello del web”, proprio perché sentivo l’esigenza di raccontare anche tutto il bello che c’è.