Sai Mamma, sei nei miei pensieri tutti i giorni e e non ti nascondo, però, che ci sono dei momenti in cui lo sei di più. Ognuno di noi ha i suoi giorni orribili nell’arco dell’anno, di ogni anno. Sono quei giorni che, solo nel vederli comparire tra i fogli dell’agenda o su qualche casella elettronica sul tablet senti il cuore che un po’ fa male e, inesorabilmente, ti chiedi quando passerà, quando quel giorno tornerà ad essere una data qualsiasi. Quando arrivano quei due giorni orribili (e sono fortunata ad averne solo due) io guardo dentro di me e faccio, se ci riesco, la migliore cosa che tu mi hai insegnato: parto. Come faccio oggi e non appena l’aereo si staccherà da terra per portarmi verso un’isola di cui sono pazzamente innamorata io mi chiedero quali sono i posti nei quali avrei voluto portare te. E oggi lo racconto qui.
Non te l’ho mai chiesto se leggevi questo blog ma io sono sicura di sì. Tu e il tuo definirmi costantemente grafomane fin dai giorni in cui sapevo scrivere solo il mio nome. In certe cose sono sempre stata precoce: sbarazzarmi del ciuccio, del pannolino, del biberon, camminare, parlare, viaggiare. Volevo la mia indipendenza e tu, con quel pizzico di soddisfazione materna, mi guardavi andare per la mia strada come era giusto che fosse. Perché una delle tue tante regole era girarare e esplorare il mondo a passi lunghi e ben distesi. Con in tasca i pochi soldi che, lavoricchiando qua e là, guadagnavo. E così, ogni volta che partivo, era un po’ come se te ne attribuissi il merito e i tuoi sorrisi indagatori, anni dopo, ai miei “mamma, parto” (come quella volta che me ne andai in Cina) erano per me il migliore del nutrimento, la più grande forza per tirar fuori dall’armadio lo zaino, andare in banca a cambiare i soldi e vivere i miei giorni vagabondi al meglio.
Quando viaggio, non importa il mezzo di trasporto, penso tanto e lascio che le emozioni mi escano dagli occhi per diventare qualcosa di concreto, come un nuovo viaggio, un libro da scrivere (non ho ancora messo via la mia vocazione ad essere Joe March o qualcuno che le assomigli), una cosa che vorrei cucinare o chissà che cosa. Oggi sono sicura che penserò a te e a tutte quelle volte che, ingnare del (poco) tempo che ci restava, guardavamo assieme i giornali di viaggio ai quali ero abbonata e sognavamo partenze e vagabondaggi in ogni dove. Forse l’arte del fantaviaggio l’ho imparata da te e non me n’ero mai accorta prima. Quei voli pindarici finivano sempre con “a primavera proviamo a vedere se riusciamo a partire“. Poi, però, c’era il mio lavoro, l’Università, le ferie che si accumulavano e il poco tempo per utilizzarle. Vorrei premere il tasto rewind non perché rimpiango di non aver fatto certe scelte prima, ma perché noi esseri umani chissà cosa daremmo per quelle famose seconde, terze e quarte occasioni. Si possono ottenere in molti campi (e grazie al cielo) ma quando una persona muore non si può più nulla. E’ il corso della vita a vincere e a noi restano i ricordi, i pensieri forti come abbracci pronti a colmare quelle tante ferite al cuore lasciate dal dolore più naturale che ci sia.
Io, cara Bruna, ti porteri in primis a Innsbruck perché è là che tu e papà mi avete portata quando avevo più o meno tre anni ed io me ne andavo in giro a dire, in tedesco, come mi chiamavo, da dove venivo e quanti anni avevo. Io volevo sempre vedere la casa dal tetto d’oro, tu mi dicevi che ti sentivi a casa in Austria. Anni dopo scoprimmo che un po’ di verità c’era.
Da Innsbruck punterei proprio verso la Germania, verso Regensburg, per ricordare quell’estate in cui tu e papà veniste a prendermi dalla mia famiglia tedesca. “Mi piace sentirti ciauscare in tedesco“, dicevi. Per i profani del mondo cimbro (da cui io e la mia mamma Bruna deriviamo), ciauscare è un termine dialettale di alcuni paesi del Veneto, una parola che deriva proprio dal cimbro e significa parlare in cimbro o in tedesco. A Regensburg venivi con me ogni volta che ordinavo una birra e a me venivano i nervi, quasi mi vergognassi a parlare tedesco davanti a te. Chissà perché.
Ci sono dei luoghi dove non siamo mai state assieme e lì, ora che sono adulta, vorrei portarti insieme a me. Il primo posto è una certezza: Cuba. Mi ricordo ancora la prima volta che arrivai sull’Isola e ti telefonai con qualche difficoltà per dirti che ero atterrata. Non feci nemmeno in tempo a finire la frase che cominciavano ad arrivare le tue domande, tante domande. La risposta ti arrivò solo al mio ritorno ma ora il cielo solo sa cosa darei per trovarmi a Cuba con te, raccontarti tutto quello che ho imparato su quell’isola e osservare l’entusiasmo nei tuoi occhi color nocciola.
Ci sono tanti viaggi che vorrei fare con te: andare in Senegal assieme, per esempio, è un grande desiderio rimasto inesaudito. Io ci sono stata da sola, tu tante volte con papà. Ci siamo raccontate con parole diverse lo stesso cielo, le stesse persone, lo stesso cibo. Ma ora sento che questo non è abbastanza.
Sai mamma allora che ho fatto e che faccio ora?
Mi sono preparata il tuo risotto col formaggino, una delle poche cose che mi cucinavi, perché avevo voglia di recuperare un sapore che mi desse il senso totale della tua presenza. Ho fatto lo zaino, sono venuta in aeroporto. Attendo l’imbarco e mi dico che, infondo, tu sei sempre con me. Anche ora che sono qui col mio Yoda (ma quanto mi avresti preso in giro per questo?), con Gian nel cuore e che l’Inghilterra mi attende per curare le mie ferite di figlia, i miei dolori.
Ciao Giovy, leggo con qualche giorno di ritardo il tuo post, scusami.
Con tante lacrime agli occhi sono riuscita ad arrivare alla fine del tuo racconto. Emozioni vere e profonde, scritte nero su bianco, fanno di te una grande donna. Non potevi farle regalo migliore, partire!
Ti voglio bene, a prestissimo…ma non passano più questi giorni?!
Baci
Grazie Lindauz!
Tanta voglia di correre da voi in Svizzera!