Antibes è una sorta di puro distillato di Francia. Me ne sono accorta non appena sono scesa dal treno e sono andata verso la città vecchia. Saranno state le case basse, saranno stati i suoi colori in una giornata di inizio primavera, sarà stato che avevo proprio bisogno di un posto così, dove sedermi un attimo, annusare profondamente il mare e fare respiri così pieni di infondermi nuova vita… Ma Antibes mi è entrata un po’ nel cuore. E a dirla tutta mi ha fatto stare bene. Ecco perché, dopo avervi raccontato i miei perché di una visita ad Antibes, oggi voglio parlarvi di quanto quella città mi ha lasciato nel cuore. Passo dopo passo, quasi facessimo una passeggiata assieme.
Non dovrei, ma pensando ad Antibes nella mia mente si forma la melodia di una canzone che, un po’ di tempo fa, mi ero ripromessa di non ascoltare mai più. Sto parlando di “Le vent nous portera” degli Noir Désir (pre-brutta vicenda). Tutte le volte che sento l’intro di questa canzone vedo me stessa da qualche parte sulle coste francesi. Chiudendo gli occhi mi ritrovo proprio dove ho scattato la foto che vedete qui sopra, intenta nel godermi il panorama e nel pensare a quanto mi aveva già regalato quella piccola città chiamata Antibes.
Non appena arrivata a ridosso della città vecchia ci è stato dato un consiglio. Adoro i consigli dati con cuore ma quasi per caso. Ci è stato detto “perdetevi nella città vecchia, non fate programmi ma godetevela“. Non ci poteva essere indicazione più azzeccata. Camminare per la città vecchia di Antibes è come entrare in un piccolo labirinto, di quelli in cui è facile perdere l’orientamento ma nei quali non ci succederà mai nulla di male, perché la “perditudine” è amica dei viaggiatori. Sicuramente è amica mia, grande amica mia. Le case sono basse ma già perfette per tenere all’ombra le strette vie popolate solo da essere umani, animali da compagnia e qualche ape-car che passa ogni tanto.
Ed è in quell’ombra che nasce la magia che Antibes regala a chi la visita con gli occhi curiosi: si aprono portici, piccoli passaggi. Attraversandoli si trovano piccole piazze dove le panchine sembrano invitare ognuno a sedersi. Le bottege spalancano le porte, esce l’odore di pane che ti fa pensare a cose del tipo “ma quanto ne mangerei?” oppure “adesso vado anch’io a comprarmi una baguette e la metto sotto-braccio“. E’ vero, quest’ultima frase sa molto da luogo comune ma quanto vorrei poterlo fare un giorno o l’altro. Senza selfie, senza social, solo io e la Francia e quel picolo momento transalpino da conservare dentro la mia mente.
Ho passeggiato per Antibes quasi come esplorassi un labirinto: ogni tanto una fermata, 20 passi al meno con lo sguardo all’insù, qualche “hai visto quella colonna” oppure “quanto amo le fontane per strada, mi fermo a bere.” Quel giorno in cui ho conosciuto Antibes ho dimenticato cosa fosse la fretta, cose fosse la velocità della vita. Ho sostituito tutto questo con il sole, la bellezza, la lentezza, i profumi di un’inizio primavera. Ogni tanto tiravo fuori la cartina per capire dove fossi; la ripiegavo mezzo minuto dopo, tornava nella mia tasca e lì restava.
Il mio giro “perso” per Antibes è iniziato vicino al porto, tra uno yacht e l’altro, ed è finito al mercato provenzale, dove finalmente ho trovato sulla mappa le giuste coordinate per tornare al nostro hotel. L’ho fatto quasi a malincuore ma il buio imperversava, io avevo voglia di bere qualcosa che sapesse di frutta, e volevo fermarmi per vedere la gente passare. Adoro guardare le città nella loro normalità: quel giorno era un sabato qualsiasi di quasi primavera. La gente sorrideva, qualcuno prendeva una birra, chiacchierava, qualche vecchietto portava fuori il cane. Ed io mi godevo Antibes. Ogni tanto fa bene fare un viaggio così: senza troppo appuntamenti, senza troppa agenda, troppi ritmi da tenere alti per non mollare. Una dose di Antibes farebbe bene a tutti. Farebbe bene a me, ora. subito.
Che bello questo post! è così personale, così intimo! E riesci a raccontare benissimo lo spirito di Antibes. Mi piace l’idea della “perditudine”.