Questa è una storia che parla di erbacce di campo. Di quelle che, a seconda delle zone, trovi dappertutto. Ogni regione, ogni paese ha le sue. Quando ero piccola, la mia nonna Cecilia (altra grande donna, non a caso era la mamma della mia mamma Bruna) mi portava con sé dentro tante avventure. Se la mia mente ha cominciato a macinare storie su storie è anche grazie a lei. Lei mi raccontava tutto: quello che le era accaduto durante la guerra, in mezzo alle due guerre, quello che faceva quando era piccola. Lei mi ha insegnato il sapore della mia terra.
E questa cari tutti non è cosa da poco. In primavera (già… perché a metà degli anni ’80 la primavera esisteva ancora) certi week end li passavo da lei. Finite le mie ore scout, andavo da lei, cenavamo assieme il sabato, dormivo su quel letto altissimo che adoravo tanto. Domenica mattina poi si partiva di buon ora su per la salita dove abitava. Raggiungevamo una sua amica e tutte e tre andavamo in giro per campi. Io ero piccola e ci badavo poco a quello che facevano ma ora, col senno di poi, ne ho capito la grande importanza. Mia nonna raccoglieva tutte le erbacce del mondo. Ogni sacchetto, un’erbaccia.
C’erano i carletti (quelli della foto qui sopra), c’erano i grandiosi Pisacan (ovvero il tarassaco), c’era tanta Maresina (che vi ho già raccontato) e c’erano anche i bruscandoli, una specie di asparago selvatico. Tornavamo a casa con le sporte piene ed poi si mangiava quello che la terra ci aveva dato, con alcune varianti date dal fatto che la fantasia in cucina regna sempre sovrana. Mia nonna adorava prepararmi il riso coi carletti e polenta e pisacan. Qualche settimana fa sono tornata nelle mie terre per seguire il blog tour organizzato da Studio Cru per Terranostra Vicenza. Io mi emoziono sempre quando viaggio… fa parte di me e mi succede in ogni minimo centimetro di questo pianeta.
Tornare a casa, come raccontavo qualche giorno fa, non è una cosa semplice da fare sempre. Spesso si torna col corpo, forse con la mente… ma poche volte succede col cuore. Questa volta io sono tornata soprattutto col cuore e la mia anima ha davvero ricominciato a parlare con profonda commozione alla mia terra. E’ successo quando alla Malga Spil mi hanno portato del riso coi carletti. I carletti sono la foglia della Silene Vulgaris. Il fiore della Silene veniva usato anni fa (io l’ho usato ma non so ora se lo si faccia ancora) per giocare facendolo scoppiare contro la fronte. Per questo i fiori si chiamano anche Sciopeti. A stento, mettendo in bocca la prima forchettata, ho trattenuto la commozione.
E’ successo quando all’Agriturismo al Cucco (che posto gente, andateci!) è arrivato un piatto di polenta e pisacan. I Pissacan sono le foglie del tarassaco. Per un momento ho davvero pensato “è o non è una cosa scema dimenticare i sapori delle nostre origini?!” Ho guarda il piatto con quel tarassaco lessato e passato in padella e quella polenta “molla”, come usa da noi in quella parte di Veneto. Per un momento ho vacillato perché sapevo che assaggiare mi avrebbe commosso. E così è stato.
Non avrei mai pensato di potermi commuovere per un piatto che non mangiavo, ormai, da circa 20 anni. Eppure è stato così. Non credo ringrazierò mai abbastanza Studio Cru e Terranostra per avermi portata dentro questo vortice di cose che, in realtà, tenevo sopite nel cuore.
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