La pioggia ha governato la mattina del secondo giorno che io e Gian abbiamo passato a Rovereto per #RovStory.
Quando vi parlai di quel viaggio, una delle cose che vi raccontai che Rovereto era semplicemente “al di là” di un monte che allietava le mie giornate. Quando ho lasciato Valdagno, il paesello dove sono nata e cresciuta, ci sono state varie fasi si allontanamento. Inizialmente provavo nostalgia per la mia famiglia e gli amici. Poi ho comincianto a sentire la mancanza di certi sapori. E poi è arrivata la nostalgia dei luoghi dalla quale non sono ancora guarita. Il Monte Pasubio è uno degli elementi chiave della mia nostalgia verso i luoghi in cui sono nata e cresciuta.
Quando vado da mio padre e poi riparto c’è una cosa che faccio sempre: ad un certo punto della strada, nell’allontanarmi guardo lo specchietto e il Pasubio è tutto dentro il mio retrovisore. E allora lì sento una stretta al cuore. Quel Monte è sempre stato importante per me: mia nonna Cecilia mi raccontava della Guerra … delle Guerre. Mio fratello mi ci portava per camminare non appena possibile. Ho imparato ad amarlo e rispettarlo nella sua asprezza. Non c’è una goccia d’acqua. Ho imparato a misurare i passi in silenzio mentre percorrevo i sentieri macchiati e segnati dalla Storia.
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Le 52 Gallerie sono un Sentiero Storico pieno d’emozione |
A Rovereto, al Museo Storico Italiano della Guerra, c’è una mostra che si chiama proprio Pasubio 1915-1918. Non potevo perdermela perché quel Monte per me è grande cosa. La mostra è contenuta ma molto ben allestita. Racconta gli anni della Grande Guerra soffermandosi soprattutto sul 1916 che fu un anno fondamentale per l’offensiva sul Pasubio. La spedizione punitiva degli Austriaci lasciò davvero il segno sulla “mia” montagna e il solo pensiero che a combattere ci fossero ragazzi poco più che vent’enni mette i brividi.
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Questa foto è © 2012 Giovy |
La mostra è davvero pensata bene e guida il visitatore attraverso tutti gli aspetti della vita in trincea in quegli Anni.
C’era spazio per la musica, per cucinare quel poco che si aveva. C’era il compito di costruire dei comandi o dei piccoli forti, cose tutt’ora visibili quando si cammina su quel monte. C’era lo spazio potente per pregare e per provare a trovare un Dio anche nelle situazioni più difficili. Non occorre essere dei super esperti di guerra o di storia per capire la Mostra Pasubio 1915-1918. Occorre solo avere il cuore aperto verso delle vicende di ormai 100 fa ma non per questo così distanti da essere sotterrati.
La Montagna in questo è sempre fetente: ti restituisce sempre quello che nascondi e bastano pochi passi alle pendici del Pasubio per ritrovare la Guerra. Ricordo ancora come fosse ieri la prima volta in assoluto che camminai sul sentiero delle 52 Gallerie. Era l’estate tra la prima e la seconda media e il CAI locale ci portò sul Pasubio. La prima galleria è momumentale: c’è una targa che ricorda l’impresa del costruire una simile rete di gallerie e c’è anche molto che ricorda il sacrificio che ogni guerra porta, purtroppo, con sé. Eravamo un gruppo di ragazzini e c’era chi pensava solo a fare casino. La Guida del CAI, giustamente, si arrabbiò e ci disse che quel sentiero dovrebbe essere percorso sempre in assoluto silenzio. Perché è la montagna che grida i ricordi di una guerra che non si cancella.
Quelle parole mi restarono impresse e le ripetei a Gian, quel giorno a Rovereto, mentre guardavamo attenti tutto ciò che era esposto.
[Aggiornamento del 2017: la mostra ha chiuso a fine 2013 ma il Pasubio è sempre là. Andate a conoscerlo]
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