
Sembra strano dirlo … ma a Cuba la gente lavora e non è che se ne sta in cortile a ballare tutto il giorno. Si balla alla sera, di ritorno da qualsiasi cosa ci abbia occupato durante il giorno. Io dormivo in un posto proprio sul Malecon (che culo! L’avevo sempre desiderato e poi ci sono riuscita). Niente di strabiliante… un normale alberghetto con qualche segno di umidità qua e là … perché il Malecon non perdona e l’acqua entra dappertutto, sia essa quella del mare o quella che l’atmosfera si porta addosso.
Quella tardo pomeriggio, rientrando … rimasi sorpresa nel vedere che il lungomare de La Habana era stato transennato. La cosa non mi creava problemi perché mi spostavo a piedi ma chiesi ugualmente come mai al poliziotto che incontrai poco più avanti del mio albergo. Mi disse che il comune offriva una festa per celebrare l’estate. Pensai subito alle location di molte nostre sagre e abbinai quell’immagine alla possibilità di festeggiare direttamente sul Malecon. Poco dopo mi accorsi che verso Avenida Washington veniva montato un palco.
“Chi suona?“, chiesi subito incuriosita. Il poliziotto mi mise lì un tot di nomi, il mio cervello tintinnò quando sentì Charanga Habanera. Vedete, a Cuba la musica è davvero una grande cosa e i musicisti hanno un che di retrò e di bravura che non so nemmeno definire. La Charanga è un gruppo storico formato di fior fior di orchestra. La trovata del loro produttore fu quella di mettere 4 frontmen di tutto rispetto, in modo da attirare ragazzine e mamme di ragazzine. Bellezza a parte, ballare dal vivo sulle note de La Charanga era una cosa che avevo provato solo anni prima, al festival Latino Americano di Milano.
Quella notte, sul Malecon, ebbi la riprova che molti cubani la pensano come me. Io sono molto lontana dall’essere una ballerina ma si vede che la salsa la ballo decentemente. Forse è l’amore per Cuba che mi aiuta, chi lo sa.
Non appena la Charanga arrivò sul Malecon quella sera il putiferio si impadronì di ogni signola anima presente, la mia compresa. La cosa che più mi piacque fu che non bisognava essere in coppia per ballare. La salsa è muoversi a ritmo e ballare anche da soli. Non ero l’unica straniera (leggi Italiana) in mezzo a quel tripudio quella sera. Ma forse ero una delle poche che aveva capito che i virtuosismi da ballroom o scuola di ballo non sono di certo grandi cose vicino alla spontaneità cubana. Ho ballato, sudato, bevuto rum da chissà chi e cantato fino a perdere la voce.
“Ahora gracias quiero dar a mi pueblo por hacerme popular…” ed io ero già commossa, ballando a più non posso.
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