Mi piacciono molto i multi-luoghi. C’è sempre un fascino immenso, per me, dentro a quei posti che contengono un’identita che poi ne contiene un’altra o mille ancora. E’ tipico delle grandi città che spesso sono così multi-luoghi da essere quasi dei “non-luoghi” o se vogliamo dei “meta-luoghi” perché vanno ben oltre alla pura e mera definizione geografica di luogo. Astrattismi e sillogismi della sottoscritta a parte (sono sempre sotto l’influenza di un libro che mi ha ingarbugliato le sinapsi ma le ha anche nutrite a dovere, sto ripensando al Barrio Chino, a Cuba.
E’ situato in piena Habana Centro e le sue entrate principali sono adornate con delle porte da tempio cinese che proprio non passano inosservate. Ancora oggi mi chiedo come mai la prima volta che gironzolai per l’Avana non le vidi. Ci capitai una sera proprio mentre mi godevo un’umidissima serata camminando dalle parti de el Capitolio Nacional. Non appena varcai quella specie di orientale portone fu come prendere un aereo e aver fatto in un secondo miliardi di km. Forse il Doctor Who mi rapì e mi portò in Cina col Tardis, chi lo sa.Quello che vi so dire per certo è che ero lì e che tutta la Cuba attorno a me sparì in secondo. Si dissolse tutto tranne il clima.
Accanto a me vedevo camminare gente con gli occhi a mandorla. I turisti erano pochi e non sentivo una sola parola di spagnolo. Frutta tropicale y mojitos adios… c’erano solo ristoranti cinesi e quel gran aroma di cucina orientale che accomuna tutte le parti del mondo in cui sia presente qualcuno da Pechino o Shanghai. Mi sorprese il fatto che la gente attorno a me fosse molto anziana. Parlandone con gente del dipartimento di Storia dell’Università de la Habana capii poi che l’immigrazione dalla Cina era cessata verso l’inizio degli anni ’80 e pertanto la comunità non aveva potuto giovare di un ricambio di persone che spesso può rivelarsi necessario.
Certo è che i cinesi presenti a La Habana avevano vissuto tra di loro proprio come avessero voluto preservare quel tocco di Cina che ognuno portava con sé una volta giunto nel nuovo mondo. A pensarci bene è così per tutte le comunità che emigrano o sono costrette a farlo. Ti tieni stretto quello che sei quasi per la paura che se un giorno tornerai il tuo paese e la tua gente non ti riconosceranno più. Forse è la paura che mantiene tradizioni ed abitudini.
Cina e l’Avana si sono mescolate proprio pochissime ma coesistono perfettamente vicine da moltissimo tempo. Quello che capii dell’Avana quella sera fu grande e inaspettato.
Non ragionai mai su quanti microcosmi ci sono dentro la Habana pur avendoli davanti ai miei occhi. Spesso ascolto (col cuore in mano) una canzone degli Orishas che ci si chiama Cuba 537. 537 è il prefisso per chiamare l’Avana dove 53 sta per Cuba e 7 sta per la capitale.Quella canzone esprime un amore immenso per quella città e ne cita tantissimi quartieri perché nessuno è uguale all’altro ed ognuno è come se fosse un piccolo tassello di un puzzle che compone un’immagine così bella da far battere il cuore, sia quando la si vive, sia quando la si pensa, sia quando la si odia, sia quando la si ama.
E ci si vorrebbe tornare.
PS: piccolo spazio musicale.
Gli Orishas sono bravissimi. Il loro genere musicale mescola assieme il buon vecchio Son Cubano e qualcosa di più moderno. Potete vedere un pezzetto di Barrio Chino in questo loro video che è tutto da ballare. Io adoro il rock ma certi ritmi mi prendono e non mi lasciano più.
non avrei mai detto che ci potesse essere una chinatown anche a cuba…
E invece … 🙂
…. e il mio piede destro si è messo a fare il metronomo….. 🙂
Spettacolo!! 🙂
Ciao, Emotion recollected in tranquillity è su Blog Importanti!
Saluti dal team.
Grazie!! 🙂
Uno spaccato di Cuba di cui non avevo mai sentito parlare!
Uno spaccato di Cuba che merita alla grande
Che racconto incredibile, come sempre qui, del resto 😉
你好 (Ciao)
blava, blava, blava, come semple…siculamente!!!
Mi pale che oggi in tutto il mondo tloviamo città cinesi.
Buon fine settimana. Edo
Glazie! 🙂
Ma non sapevo che a Cuba ci fosse anche tutto questo! Vedi? Sei la mia mentore!!!!
Buon weekend ciccia!!!!!
Devi assolutamente andarci!! 🙂
Una cosa che ho notato, osservando le varie "Little Italy" che mi sono trovato a visitare, è la loro tendenza ad essere più italiane dell'italia. Sia la popolazione che le attività commerciali tendono a rientrare nella tipologia italiana, ben più di quanto accada nelle città entro i nostri confini.
Non si mangia cinese a Little Italy; tutti parlano inglese, spesso con un accento pesantemente italico, a Little Italy; per tener salda la propria identità, tutti amano l'italia a Little Italy.
E' un po' come se l'esterofilia congenita di noi italiani, una volta trapiantati all'estero, si mescolasse con la nostra tendenza all'esser mammoni e ci portasse ad un nostalgico amori di patria che, mentre siamo in patria, quasi non esiste.
Questa era la sensazione che ho avuto quando m'è capitato di visitarle, una decina di anni fa quanto meno. Chissà se oggi le cose sono cambiate. E chissà se anche per le altre Little Nations valgono le stesse regole.
Le Little Nations hanno spesso grandi cose da raccontare… 🙂