
Eravamo a San Cristobal da un paio di giorni quando io e la mia migliore amica decidemmo di andare a visitare San Juan Chamula. Avevamo letto qualcosina a riguardo di quel piccolo villaggio del Chiapas e la curiosità di scoprirlo era moltissimo. Dista sa San Cristobal circa una decina di km ma, in certi luoghi del mondo, fare dieci km equivale a farne 300. In Chiapas non è molto facile spostarsi, vuoi per la condizione politica, vuoi per quella geografica.
Per arrivare a San Juan Chamula si tenta un po’ la fortuna e ci si reca al mercado della frutta di San Cristobal. Arrivati lì, bisognerà aprire bene gli occhi e cercare l’assemblamento dei furgoncini (eh già, sempre loro, proprio come in Brasile). Dopodiché basterà tirar fuori la voce e rivolgersi al primo autista che vi capiterà a tiro: “Desculpe, me gustaria ir a San Juan. Cual es el bùs correcto?” Non ho trovato, sul mio cammino messicano, nessuna persone scorretta o scortese. L’autista vi indicherà il combi giusto… dopodiché basterà aspettare che si riempia. Di solito non ci mette molto. I combi si pagano a passaggio. L’autista vi dirà quanto dovrete dare e di norma, per scendere, si bussa sul tetto. Noi non sapevamo dove scendere sicché ci pensò lui ad avvertirci.
Quando arrivammo in quel villaggio a quasi 2’300 metri d’altezza ci sentimmo un po’ spaesate. Pochissime case, un municipio, un cimitero dalle croci bianche quasi improvvisate ed essenzialmente inquietanti ed una chiesa bianca dai profili colorati. Davanti alla chiesa un sagrato pieno di gente, un mercato con del bellissimo artigianato e un piccolo ristorante che sembrava quasi improvvisato. Cosa si va a vedere a San Juan Chamula? Essenzialmente la sua chiesa … e con essa l’attività che si svolge al suo interno. In secono luogo si gusta l’artigianato all’ennesima potenza. E poi, tenetevi pronti, i bimbi vi assaliranno in cerca di qualche soldo e caramelle.
Feci alcune foto quel giorno… una bimba mi chiese 10 pesos per essere ritratta. Molte immagini, come quelle qui sopra, mi piacquero da matti. Eravamo nella piazza e non riuscivamo a far si che una decina di bimbe andassero da un’altra parte. Avevamo già parlato un bel po’ con loro ma si raccontavano a malapena. Avevamo già lasciato un po’ di pesos, capendo tristemente che le convinzioni religiose Maya si possono superare in virtù del Dio Denaro o, probabilmente, a causa di Madonna Fame e Sorella Povertà. Già San Juan Chamula sarà pittoresto e splendidamente Maya ma vi metterò davanti agli occhi la condizione delle piccole contadine di tutta la Sierra Lacandona. San Juan Chamula vi mostrerà il mondo difficile di chi lotta per la propria terra tutti i giorni.
Per uscire dall’accerchiamento, ci fiondammo dentro il municipio dove si può pagare la tassa turistica per poter visitare la chiesa. Pochi pesos per rinpinguare le casse del villaggio… per poter tirare avanti. Pagata la tassa, entrammo in chiesa quasi di corsa, mentre le bimbe avevano altri viaggiatori appena giunti lì. Sarà nella chiesa che vedrete la vera grande anima di quella gente. Sarà dentro quell’edificio che capitere come i Maya dell’epoca contemporanea pregano i loro dei per la loro gente e sperano in un futuro migliore. La chiesa è piccolina, molto buia malgrado le mura bianchissime e sempre perfettamente dipinte.
La chiesa non ha crocifissi né immagini di santi. Solo una statua, al centro dell’altare: quella di San Giovanni.
Tutti i banchi sono ammassati in tre file sul fondo della chiesa, vicino all’entrata.Davanti ad essi solo un enorme tappeto di aghi di pino che emanano un profumo di resina del tutto totale. In quella chiesa non si può, giustamente, fotografare. Si può stare solo in silenzio ad osservare un sincretismo ancora del tutto misterioso. Mentre io ero lì è entrata una signora piccolina e tutta bardata in abiti locali coloratissimi, con delle trecce lunghissime unite assieme sul fondo in un bel fiocco blu intenso E’ entrata con delle candele bianche di diverse misure, i fiammiferi per accenderli e (stupore mio immenso) una lattina di coca-cola. Si è inginocchiata su quegli aghi di pino ed ha cominciato a pregare nella sua lingua madre, perché a San Juan Chamula non si parla lo spagnolo ma il dialetto Maya di quella zona.
Pregava e, sempre in ginocchio, compiva dei movimenti circolari con la parte superiore del corpo. Poi si fermava un minuto, beveva la coca-cola e … ruttava ad un volume a dir poco sconcertante. E come lei altra gente entrata dopo di lei. Mentre eravamo dentro la Chiesa si sentirono dei colpi … come dire … sembrava un cannone. Erano degli scoppi creati con non so che soda per richiamare l’attenzione dei fedeli. Perché ai Maya non piacciono le campane. E a loro non piacciono le foto … per questo non si potrebbe mai fotografare nei luoghi a loro sacri. Perché fotografando si porta via l’anima alle cose.
Quando uscimmo dalla chiesa ci interogammo a lungo su quel che avevamo visto e, settimane dopo … al nostro ritorno in Italia, cercammo spiegazioni sui libri a riguardo di quel che avevamo visto. E allora capimmo molte cose.
Quando fummo sulla piazza venimmo di nuovo circondate ma arrivarono viaggiatori nuovi e fummo lasciate da parte da tutte le bimbe tranne due. Chiesi alla bimba grande come si chiamasse e come si chiamasse la piccola. Lei mi rispose solo Rosa. Le chiesi se Rosa era lei ma Rosa era la sua sorellina piccola. La grande non rispose mai alle mie domande. Io pensai che forse lo spagnolo non fosse proprio nel suo modo di vivere. Restò con noi a pranzo. Le diedi un po’ delle mie uova, perché quel giorno a San Juan si mangiavano solo tortillas papas y pimientos e le uova. Le feci capire che volevo fotografarla. Lei mi sorrise e disse sì. Io le colsi in un loro gesto da sorelle.
Quando tornai alla fermata del combi per tornare a San Cristobal, mi voltai ai guardare la chiesa, la piazza, la gente, le bimbe ed il loro gioco insegui-il-viaggiatore. Diedi un significato più grave e pesante alla questione del Plan Puebla-Panama. Mi restò in testa quell’uso religioso della Coca Cola e me ne rattristai quando lessi che certi materiali globali erano entrati di prepotenza nei rituali Maya per la facile reperibilità. Ancora oggi mi auguro che San Juan Chamula sia intatto nel suo quotidiano. Mi auguro che la gente sia ancora libera di professarsi Maya e che, come tale rispetti l’integrità delle proprie origini.
Questo tuo post mi ha colpito particolarmente, così come la bellissima foto di Rosa e di sua sorella.
@Whoever: io adoro questa foto. L'ho incollata su di un album dal cartoncino nero e risalta da matti. Adoro il modo in cui la Grande guarda Rosa.
Felice di averti colpito! 🙂
Messicoooooo! O.O
Prima o poi ci delizierai con uno scorcio al tuo album di fotografie?
@Scrutatrice: le foto del messico sono già digitalizzate! 🙂 Tante altre ancora no… ma prometto che lo faccio!
Intanto qui hai due pezzettini del mio album… altri sono sparsi in giro per il blog 🙂
Mi ripeto lo so, ma non badarci.
Bellissimo post e meravigliosa foto. Complimenti!
Un altro bel racconto di posti lontani. Bravissima Giovy!
@MM + NiKo: grazie ad entrambi! 🙂
Una visita davvero particolare alla chiesa di San Juan Chamula: ho visto – giustamente – strattonare brutalmente e cazziare una turista che ha cercato di fare la foto di straforo. Ho rischiato anch'io, che non mi ero accorta di residui di cera sul pavimento, dove evidentemente s'era consumato in precedenza un rito, e li stavo per calpestare. Però, sopra ogni cosa, sono i rutti da bibita gassata associati a un rito sacro ad avere qualcosa di intangibile per me.
Barbara
reporterpercaso.com
Di quel giorno a San Juan ricordo ancora benissimo l'odore di quella chiesa.
Che giorno quello!