La Cina è vasta, la Cina è immensa. La Cina va conosciuta, scandagliata, capita. Questi pensieri salgono alla mia mente oggi, tanti anni dopo quel viaggio in Far East, proprio perché la Cina è diventata un qualcosa di quotidiano nella nostra italianità. Oggi vi racconterò di quel giorno che raggiunsi il Piccolo Potala di Chengde.
Dove vivo ci sono moltissimi cinesi. Alcuni mi sono simpaticissimi ed io credo di esserlo a loro Altri non li sopporto … ma non lo faccio per un motivo palese che mi farebbe girare le ovaie anche se si trattasse di un italiano: non mi fanno lo scontrino. Quando arrivai in Cina ebbi tantissime cose da scoprire e non vedevo l’ora. Mentre volavo verso Est pensai che, per la prima volta, sarei arrivata in un paese la lingua del quale ignoravo totalmente. Quella stessa senzazione di ansia legata ad un cielo che non si comprende si riversava in me portandosi dientro una domanda: “come mi espirmo in Cina? Cosa dico?”
La fortuna volle che un’amica fosse a Pechino per studio. Mi feci scrivere alcuni biglietti col nome di luoghi-chiave di Pechino e il nome del posto dove dormivo. Per il resto giravo con un piccolo block-notes e penna per fare i disegnini. I disegnini sono un linguaggio universale. I gesti non lo sono. Il difficile venne quando cominciammo a spostarci fuori da Pechino, verso Nord, verso Il Gobi, verso il Confine. Il difficile venne lì quando l’accento di Pechino si dissolveva. Il difficile venne lì quando nemmeno la mia amica capiva bene quel che le dicevano. Il difficile venne con la vera Cina perché, diciamocelo, le Capitali non regalano mai la vera essenza di un luogo. E tutto fu così complicato che ci guardammo in faccia, in quattro, e ci dicemmo “Cosa ci siamo venute a fare a Chengde?”
La Guida della Cina ci chiarì subito le idee perché in quel luogo sperduto in Manciuria si trova un residenza estiva del periodo imperiale veramente bella e interessante. Il secondo motivo fu poi il Piccolo Potala. Situato in altura fuori città, si tratta di un palazzo molto importante per i buddhisti di rito tibetano. Lì risiede normalmente il Panchen Lama. Non ho mai capito bene che ruolo religioso abbia. Ho capito benissimo che si tratta di un qualcuno di importante per chi segue quel credo, quella filosofia. Io ero a dir poco oltre rispetto alla mia solita curiosità. Mi sentivo una bimba che continuava a dire “Quando andiamo? Quando andiamo?” Nel mio fremere verso la scoperta di quel monastero, non mi resi conto che, quella mattina, stavo vivendo la vera Cina. C’erano gli anziani in tuta blu, i bimbi vestiti tutti colorati e una famiglia che viaggiava al completo su di un vecchio motorino.
C’erano i commercianti che ti inseguivano per strada e si offendevano se accettavi il primo prezzo da loro proposto. Fu lì che imparai che i cinesi contano con una sola mano … perché nell’altra tengono l’oggetto che devono vendere. Fu lì che capii il loro modo di mostrarei i numeri con le mani (pensavate fosse uguale ovunque, vero?) … o meglio con la mano, l’unica libera. Fu lì che mi trovai di fronte ad un pranzo che aveva un buon odore… ma non sapevo assolutamente cosa fosse. Mi disserò però di stare tranquilla, la Cina del nord non utilizza strani animali per la gastronomia.
Io ho mangiato e non sono stata male. In certi luoghi è meglio non farsi troppe domande. Fu a Chengde che imparai che Cesso in Cinese si dice Cesuo e si scrive 停止. Never forget! Era pomeriggio quando salimmo verso il Tempio. Il vento arrivava freddissimo dalle steppe mongole ormai vicinissime. Tutte bardate bussammo al mega portone di legno come viaggiatrici di altri tempi. Ai viaggiatori è permesso entrare in numero contentuto, purchè si osservi il silenzio e si rispetti la dignità di un luogo di studio e preghiera. I Monaci ai miei occhi sembravano creature uscite da un film, immensi nei loro colori arancio, fucsia e bordeaux. Io li guardavo stupita e loro guardavano stupiti me. I giovani erano pochissimi, uno di questi ci fece visitare in parte quell’immenso luogo. Parlava francese e ci raccontò poco dell’edificio e molto sulle tradizioni ad esso legate.
Parlammo un po’ di Mantra e mi spiegò l’importanza della ripetizione ipnotica e la forza che risiede dentro la voce quando si prega qualcosa o qualcuno di assoluto. Alla fine del giro mi regalò una la sciarpa bianca tipica di quella religione. Ora la custodisco preziosamente dentro il mio armadio (e mi piace il fatto che si stia sfilacciando). Sorrido nello scrivere questo perché la religione cambia ma i gesti ad essa legati no. I religiosi sono sempre pronti a regalarti qualcosa: chi la sciarpa, chi il santino. Questo cambiare delle religioni ma il presidio totale degli stessi gesti mi fu ben chiaro in molte occasioni in Cina.
Quel monaco ci chiese se volevamo assistere alla preghiera mattutina il giorno dopo. La risposta fu unanime, malgrado il fatto che saremmo dovute tornare al tempio all’alba del giorno dopo. Un’alba così buia,ventosa, fredda. E poi la salita per raggiunger il monastero. E poi quel monaco, il suo sorriso sereno che anticipava il sorgere del sole. Poi vissi una delle esperienze più forti di tutta la mia vita. Quelle voci profonde, basse all’ennesima potenza, costanti, vibranti, tendendi all’infinito. Quell’ Om mane padme hum ripetuto per non so quanto tempo con un ritmo più preciso di un metronomo e con una comunione di pensiero e cuore tale da non riuscire a trovarne una definizione che le renda giustizia.
Finita la preghiera salìì su una delle terrazze del monastero, il sole era davvero arrivato. Mi sedetti per terra, con la schiena appoggiata al parapetto. Il sole sul mio viso e poco vento su di me. Tenevo la sciarpa bianca stretta tra le mani. Guardavo le alture della Manciuria, osservavo il loro essere spoglie e brulle, vedevo l’attesa della primavera nell’immagine che rimandavano ai miei occhi. Silenzio, solo silenzio. Il mondo dentro. Lasciai quel luogo un po’ a malincuore ma il viaggio premeva sotto i miei piedi.
"I disegni sono un linguaggio universale, i gesti no" è una grande verità. Tra l'altro il nostro modo Italiano di gesticolare, spesso all'Estero risulta pure pericoloso.
Grande la Cina!
@Niko: pericolosissimo!!! 🙂
Ciao tesorona!!!!
In Cina ci è stata anche una mia carissima amica. Ha detto che è meravigliosa. Lei ci è stata un mese.
E a leggere questo tuo post ne ho la conferma.
Però… Non sono molto sicuro che, se ne avessi occasione, ci andrei…
Un mega abbraccione e… Buona giornata!!!!!
Ci sono luoghi che non tengo in considerazione per degli eventuali viaggi, uno di questi è la Cina.
Ma il tuo racconto è meraviglioso.
Complimenti. Buona giornata
Angela
@Devis: sai che ero titubante anch'io prima di partire. Poi ne sono stata felicissima!
@Angela: Mai dire mai… 🙂
L'ultima parte in cui sali sulla terrazza sembra una scena da film, è bellissima.
p.s. Bella ti fa sapere che il "girare le ovaie" è fantastico. XD
@Chagall: grazie per il paragone. Ogni tanto sono capace di piccola poesia e mi sembra così strano.
Saluta Bella per me… 🙂 dille che può usare quella frase quando vuole!
Oh, ma lei ha usato quella frase già un sacco di volte XD
@Chagall: ;-))
Silenzio, solo silenzio. Il mondo dentro.
che immagine fantastica.
@Scrutatrice: ed io adoro ricordare quella pace!
停止 si pronuncia tíng zhǐ e significa fermarsi, fermare.
廁所 (cè suǒ) è il termine corretto 🙂
Mitico, parli cinese?
Avevo cercato Cesuò online e avevo trovato gli ideogrammi che ho riportato nel post.
Grazie mille per la correzione.