
Un racconto da un viaggio in Polonia, giusto per testimoniare che il mondo è pieno di viaggiatori che attendono solo di incontrarsi. In effetti, cominciò tutto per caso.La mia migliore amica era ad Hildesheim, in Germania, a trovare delle ragazze con cui aveva fatto l’Erasmus. La raggiunsi volando verso Hannover, città dalla quale il giorno dopo avremmo preso un fantastico (si fa per dire … ma nella vita si sperimentano molte cose) pullman per Varsavia. Perché decidemmo di andare in Polonia? Semplice: la Polonia era appena entrata negli accordi di Schengen (era il 2005) e quindi attraversare quella frontiera sarebbe stato più facile che un tempo. In secondo luogo avevamo pochi soldi e ci sembrava una buona meta da scoprire con un budget un po’ limitato.Dopo un viaggio stile carro bestiame, arrivammo a Varsavia e mi sembrò di aver fatto un viaggio tipo “ritorno al futuro”. In stazione troneggiava la musica degli Abba e la moda seguita dalla gente che rigonzolava lì nei dintorni non sembrava scostarsi molto da quella in voga circa 35 anni fa. “Cosa facciamo in Polonia?“, ci chiedevamo. “Boh“, era la risposta più frequente, “facciamo cose, andiamo in giro, vediamo gente“. Di per sé Varsavia mi spiazzò; mi spiazzarono le strade vaste e larghe e la distanza tra gli edifici fuori dal centro. Tutto urlava “qui è stato tutto bombardato per questo c’è tutto questo spazio”. Non so spiegare la mia sensazione, anche l’Italia è stata pesantemente bombardata ma qui da noi non c’è tutto quello spazio!
L’ostello era carino, approntato al primo piano di un edificio fin troppo nobil-sovietico, così tanto “dell’est ma figo” dall’essere, al suo secondo piano, la sede di Solidarnosc. Più Polonia di così! Le camerate erano miste e noi ci prendemmo subito due letti posti in una specie di dependance, divisa dal resto della camera da un muro in carton-gesso. Prima cosa da fare quando si entra in una camerata di ostello: osservare gli zaini dei tuoi compagni di stanza … avrai modo, spesso, di capirne la provenienza. Bene… eravamo le uniche italiane. Io e la mia migliore amica facciamo spesso un gioco quando parliamo nei luoghi pubblici, soprattuto all’estero e in presenza di altri italiani: parliamo in tedesco!
Il mattino dopo Ani ci venne a svegliare “Buongiorno, dormito bene?” e noi “Sì dai … tu che hai fatto poi dopo cena?“, stavamo già ricominciando a raccontarcela quando dal letto sopra quello della Fra (la mia migliore amica) uno sbadiglio piuttosto sonoro attirò la nostra attenzione. “Ah beh… buongiorno a voi!“, tuonò una specie di voce dell’oltretomba. Ecco, l’ennesimo italiano, pensammo tra di noi.
Invece si trattava di John, Americano di San Diego … residente a Roma da anni. Ovviamente con un italiano più perfetto del mio. Nel giro di poco più di un giorno eravamo diventati quattro: in quattro a gironzolare, in quattro a ridere, in quattro a “chi fa il caffé”, in quattro a dire “stasera cucino io”, in quattro a chiedersi “dove andiamo ora?”. Era la nostra penultima sera a Varsavia, penultima mia, di Fra e di John. Noi pensavamo di andare a Breslavia, John a Cracovia, Ani sarebbe rimasto a Varsavia ad aspettare le amiche svedesi. “Conosco un ristorante russo in centro dove si mangia troppo bene e si spende poco“, disse Ani. Si mangia bene… spende poco … parole magiche se sei in vacanza con pochi soldi. Decidemmo che quella sera ci saremmo salutati lì. Ora di cena arrivò in fretta, io e la Fra eravamo sedute davanti alla reception dell’ostello in attesa che i nostri due nuovi amici finissero di prepararsi. E di tempo ce ne volle.
Come per le migliori vite, arrivò anche per noi il momento dei saluti. Notte, stazione di Cracovia. Binario imprecisato. Un vasetto di basilico legato al mio zaino blu. L’avevamo comprato assieme per guarnire la pasta che ci preparavamo con tanto impegno. Arriva un treno … sì, è quello per Katowice… dai Fra, saliamo. C’eravamo solo noi su quel binario; io già commossa e stretta in un abbraccio collettivo che aveva tutto il sapore di quei giorni. Fra, io, Fabio, Ani … tutti con gli occhi lucidi, tutti consapevoli che io sarei tornata in Svizzera (dove al tempo risiedevo), che Ani sarebbe tornato in Kentucky e che John, Fabio e Fra sarebbero tornati a Roma ma gli impegni, l’università, il lavoro … è difficile vedersi. Eravamo in quattro su quel binario, quasi mezzanotte, il treno doveva partire.Ma John dov’era? Salimmo, con già tanta nostalgia nel cuore. Io e Fra ci affacciammo dal finestrino perché volevamo sentire dentro noi tutto il dolore di quella separazione, gustandocela metro dopo metro non appena il treno sarebbe partito. Il mezzo si muove, il dolore comincia … ed in quell’istante spuntò John davanti a noi, correndo come non so cosa con un cd in mano. Era stato in un internet point a copiarci su cd le sue foto digitali. Corse così tanto che ci raggiunse. La mia mano afferrò quel cd e poi ” ciaoooooooo Johnnnnnnnn, ciaoooooooo tuttiiiiiiiiiii!” Chiudemmo il finestrino e piangemmo un po’ tra di noi: più che il dolore, fu la felicità che incontri del genere esistano a farci commuovere.
Giorni dopo un bip bip attirò la mia attenzione mentre ero tristemente tornata al lavoro. C’era un messaggio sul mio cellulare: “Essendo a Vilnius, famiglia, vi voglio bene“. Era di Fabio, aveva raggiunto la sua meta e ci aveva portati con lui. Ripenso a questa vicenda probabilmente a giorni alterni da quando è accaduta. Ci rifletto ancora perché mai mi sarei aspettata che esistessero persone capaci di non vederti per anni e poi sedersi a tavola con te guardandoti negli occhi come se ti avessero incontrata il giorno prima. Mi stupisco perché l’anno scorso, rivedendo quasi tutti a New York, mi sono sentita a casa solo perché, infondo, ero in mezzo a loro.
Voi, ragazzi, siete gioia nel mio mondo. Qualsiasi mondo e qualsiasi momento sia.
Bellissimo post, incantevole blog.
Ti leggo e mi sembra di essere nei luoghi che racconti.
Complimenti, sinceri.
Grazie mille! 🙂
Davvero, bellissimo post, complimenti…e quanti viaggi fai, beata te! Varsavia mi ha sempre attirato, ma non ci sono mai stata. E un altro luogo dove vorrei andare sai qual è? Arcangelo, in Siberia. Magari sarà un posto infame, ma mi attira per il nome…se mica stata anche lì?!
In effetti ho viaggiato molto ed è per questo che ho tanta voglia di raccontare la strada fatta.
Varsavia merita… la polonia in genere merita davvero ed è un paese a mio avviso fin troppo sottovalutato e considerato un posto per scorribande. Vorresti andare in Siberia?
Io e il mio compagno abbiamo parlato spesso del Nunavut … la parte inuit del Canada!
Chi lo sa… magari un giorno…
che storia bellissima! mi hai commosso.
E' una storia alla quale tengo molto. Mi fa piacere ti abbia emozionato! 🙂